Roma
Nel carcere dell'Inquisizione romana
Il 27 febbraio del 1593, Giordano Bruno viene rinchiuso nel nuovo carcere dell’Inquisizione romana, quella «fabrica grande» che, nel 1569, Pio V aveva fatto erigere vicino s. Pietro «come prova perenne della religione cattolica, per custodirvi con maggior sicurezza i seguaci dell’eretica pravità».
Non molto si sa delle condizioni in cui versavano i prigionieri nelle carceri dell’Inquisizione. Probabilmente la nuova prigione doveva presentare dei miglioramenti rispetto alle celle umide e maleodoranti di Piazza Ripetta, il carcere in cui, fino ad allora l’Inquisizione aveva rinchiuso i suoi prigionieri.
Esistevano, ovviamente, una serie di divieti precisi, quali quello di non parlare con i reclusi di altre celle, di non leggere o scrivere cose che non riguardassero il proprio processo, di tenere corrispondenza con chiunque. Così, non sappiamo assolutamente nulla delle condizioni, dell’umore e del comportamento di Bruno in carcere. Sarà venuto a conoscenza del fatto che, in quello stesso periodo, altri prigionieri illustri, non ultimo
Campanella, hanno vissuto, in qualche cella contigua alla sua, i suoi stessi tormenti?
È anche vero che i reclusi di una stessa cella potevano parlare fra di loro, usufruivano di un regolare cambio di biancheria e di capi di vestiario, avevano a disposizione con qualche regolarità barbiere, bagno e lavanderia ed erano per loro possibili, inoltre, incontri periodici con i responsabili del carcere cui far presenti le proprie necessità e i propri bisogni. Degli incontri e delle richieste di Bruno c’è testimonianza scritta. Ciò non toglie che quello restasse un luogo di desolazione e di isolamento dal mondo.
Proprio per quanto riguarda il processo romano di Bruno non ci soccorrono più documenti redatti con l’esattezza e la precisione di Venezia. L’unica cosa certa è che a Roma si cominciò là dove si era finito a Venezia, gli interrogatori infatti sono numerati a partire da un VIII costituto.
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