La situazione economica a Roma
La disastrosa situazione
L’invasione dei Lanzichenecchi nell’estate del 1527 aveva gettato lo Stato Pontificio in uno stato di anarchia mai raggiunto fino ad allora. Se pure scampata all’estrema rovina, Roma e il cosiddetto Patrimonio di S. Pietro, la campagna romana, versavano nella più assoluta desolazione. I Comuni rivendicavano l’indipendenza e si annientavano in lotte fratricide. La guerra, d’altro canto, aveva fatto del tutto esaurire le riserve che i papi si trasmettevano dall’uno all’altro.
Si cercavano rimedi alla disastrosa situazione seguendo i soliti sistemi che il governo spagnolo aveva introdotto nei suoi domini e che, ormai, si erano diffusi a livello europeo: vendite di beni e di benefici ecclesiastici, imposte sui consumi e sulla farina, fino a giungere alla più iniqua delle imposizioni: l’inasprimento del prezzo del sale, di solito monopolio governativo, contro cui nessuno dei sudditi poteva far valere alcun privilegio.
Per ottenere l’adesione dei feudatari e delle grandi città a una simile politica fiscale occorreva, però, una onerosa e permanente mobilitazione armata, in grado di sedare rivolte e sedizioni con sanguinose repressioni.