Il mantello del filosofo
Bruno e Caracciolo
Appena giunto a Ginevra, nella locanda dove ha preso alloggio Bruno riceve la visita del marchese di Vico.
Galeazzo Caracciolo è il fondatore della comunità degli esuli italiani a Ginevra, e il suo formidabile organizzatore. Al nuovo arrivato, della sua terra, fa domande e offre aiuto. Stando a quanto riferirà ai giudici veneziani, Bruno risponde al marchese che è «uscito dalla Religione» e che - ribadendo la sua indifferenza alla religione - non intende «professar quella di essa città», ignorando perfino di che religione si tratti: tutto quello che gli interessa è «viver in libertà» ed «esser sicuro».
L'aristocratico napoletano lo convince ad abbandonare l'abito da frate domenicano che Bruno indossa: dalla stoffa vengono ricavate un paio di calze e altri indumenti necessari; a completamento del tutto, «esso Marchese con altri Italiani» gli forniscono il cappello, la spada e il mantello. Ancora, gli procurano un lavoro come correttore di bozze affinché possa provvedere a sé: è così che Bruno prende confidenza in bottega con l'arte tipografica - allora in pieno sviluppo a Ginevra grazie all'impulso portato dagli esuli - per i «circa doi mesi» che rimane nella città.