Bruno legge il De anima
Una lettura discussa
La lettura che Bruno sceglie per lo studio tolosano è davvero fra le più discusse del periodo. Già Luigi Pulci cantava:
Costor che fan sì gran disputazione
Dell’anima, ond’ella entri e ond’ella esca,
O come il nocciolo si stia nella pesca,
Hanno studiato in su ‘n gran mellone:
Aristotile allegano e Platone,
E voglion ch’ella in pace requiesca
Fra suoni e canti, e fannoti una tresca
Che t’empie il capo di confusione.
A Padova, ad esempio, Pomponazzi – discusso per le posizioni estreme sul tema espresse nel suo
De immortalitate animae – è costretto a interrompere il suo corso sull’anima per cominciarne uno sulla fisica aristotelica. Tuttavia, nello Studio di Napoli tale insegnamento non manca mai per tutta la prima metà del ‘500, e a Pisa Simone Porzio, che si proponeva di chiosare i libri di meteorologia, cambia parere su richiesta degli uditori, che preferiscono il commento al
De anima. Due anni dopo la partenza di Bruno da
Napoli, del resto, Marta pubblica l’
Apologia dell’immortalità dell’anima, in risposta all’opuscolo di Porzio, il
De humana mente, del 1551. A Padova, infine, Giacomo Zabarella e Francesco Piccolomini proprio in quegli anni discutono sul commento di Averroè al suddetto
libro aristotelico. È possibile comunque che Bruno nelle sue lezioni tolosane si sia riferito, più che ai commenti di Alessandro d’Afrodisia, di Averroé e di Tommaso, proprio al testo originario dello Stagirita, probabilmente criticato e forse in parte sostituito con nuove ardite asserzioni.
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