La cosmologia infinitistica
Il De immenso
In questo poema - che segna la ripresa di quegli interessi ontologici e astronomici declinati con grande vigore nei dialoghi cosmologici inglesi - Bruno muove da un esame puntuale degli scritti aristotelici per svolgere una polemica serrata contro la cosmologia tradizionale. Al cosmo di Aristotele - sfera finita il cui centro è occupato dalla terra immobile e inerte e la cui circonferenza estrema è delimitata dal cielo delle stelle fisse - si sostituisce una concezione che muove dall'infinita potenza della vita e della materia per abbattere le gerarchie tradizionali, mostrando come lo spazio senza limiti dell'universo sia il luogo in cui si esplica - secondo una vicissitudine perpetua di nascita e morte - la vita degli astri, «grandi animali» che si uniscono a formare mondi infiniti, ospitando sul loro dorso innumerevoli individui e creature.
In questa prospettiva, viene ripensato in modo radicale anche il modello avanzato da
Copernico. L'astronomo, secondo Bruno, ha avuto il merito di scuotere dalle fondamenta le antiche concezioni, ma non ha saputo superare del tutto i limiti della propria formazione «matematica» e astratta. Le critiche di Bruno a Copernico rilevano, in effetti, i limiti di una cosmologia che, per quanto innovativa, dipende ancora da alcuni capisaldi della fisica aristotelica: perfettamente finito, l'universo di Copernico è infatti animato dal moto circolare e uniforme delle sfere cristalline, che, come voleva Aristotele, si muovono per natura intorno al proprio centro. Sviluppando in chiave infinitistica il modello copernicano, Bruno presenta un'immagine del cosmo ancor più innovativa, incentrata sull'infinito esplicarsi della vita nell'«
infinito campo etereo». Una tesi così radicale porta, inevitabilmente, gravi conseguenze sul piano della
critica alle religioni.
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