L'“infinito campo etereo”
Bruno espone agli accademici di Wittenberg la propria visione del cosmo
«Presso i germani - afferma Giordano - non troveremo solo principi che hanno coltivato le dottrine astronomiche più note - come so che hanno fatto gli imperatori
Carlo V e
Rodolfo II [...] - oppure che hanno favorito, consolidato e promosso dottrine astronomiche ancora poco conosciute [...] ma troveremo principi che hanno riportato in fama una verità già da tempo perduta e sepolta, la quale risplendeva tra i Caldei e i Pitagorici: in Germania, come sappiamo, uno di tali restauratori fu il langravio
Guglielmo d'Assia, il quale non solo seppe acquisire, insieme ai seguaci di Tolomeo, una conoscenza profonda di quella astronomia che sta alle calcagna dell'esorbitante filosofia peripatetica, ma con gli occhi del proprio - e non dell'altrui - senso e intelletto, conobbe anche la nuova astronomia. [...] È facile infatti desumere che i corpi celesti - sia gli astri osservati fin dall'antichità, sia quelli apparsi di recente - entrano, penetrano ed attraversano le sfere su cui dovrebbero trovarsi le altre stelle. E questo può forse confermare l'ipotesi di quella Chimera - la quinta essenza o natura impenetrabili, indivisibile, inalterabile, ovvero di quel luogo mediano, di quel centro dell'universo, di quel moto circolare continuo e regolare secondo cui si spostano - quasi seguendo le linee tracciate da un geometra, i corpi naturali, ai quali si attribuiscono ancora quantità ed ordini introdotti senza alcun senso o ragione, come pure moltissime altre proprietà che si immaginano conseguire da altri principi simili, e che sarebbe superfluo enumerare? Ma questa persuasione fa sì che non intendiamo differenze tra i soli fissi e le terre, le quali in modi molteplici ruotano intorno ad essi e penetrano l'aere immenso sospinte dalla virtù insita nella propria anima, e che rifiutiamo di concepire questa terra nostra madre come uno degi astri, non inferiore per dignità ad alcuno dei corpi circostanti».
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