La gnoseologia bruniana
Il primato dell'intelletto
Partendo dalla critica alla nozione epicurea di senso, Bruno sostiene che quest’ultimo non sia in grado di misurare tutta la realtà. Il principio di inquisizione delle cose, dice il filosofo, è sapere che una cosa è possibile e conveniente; del resto il giudizio di possibile e conveniente appartiene all’intelletto, che è l’unico strumento conoscitivo che fa credere possibili quelle cose che, in un secondo momento, i sensi possono confermare. I sensi, insomma, servono a eccitare la ragione, ma non possono certamente giudicare.
Ne emerge un netto primato dell’intelletto (in contrasto, ad esempio, col campanelliano primato del senso), che è il solo che possa cogliere l’infinità dell’universo, nonché quell’infinita animazione universale che permea tutte le cose del mondo, e che vivifica dall’interno tutta la realtà. Il mondo, del resto, non è nient’altro se non un’ombra eterna del vero ideale; perciò la mente umana deve rispecchiare il procedimento stesso della realtà percorrendo in senso ascendente il discendere delle idee al mondo sensibile, attraverso quattro gradi: senso (in linea retta), fantasia e immaginazione (in linea obliqua) e intelletto (in linea circolare, circondato in sé stesso).
Nelle potenze inferiori, insomma, è presente una traccia delle superiori che da quelle si svolgono per concentrazione. La
mens, inoltre, agita virgilianamente la mole dell’universo, intuendo che tutto è vita, e che tutte le cose hanno in sé l’intelletto; per quest’ultimo, nel suo grado più alto, tutte le cognizioni divengono una sola cognizione: essenza, potenza e atto sono tutt’uno.