La difesa di Bruno
La nascita di un 'mito'
Si è spesso discusso, in sede storiografica, sulla strategia difensiva messa in atto da Bruno nel corso dei processi che, a Venezia prima, a Roma successivamente, lo vedevano in qualità di imputato davanti al Santo Uffizio.
Intorno alla figura del Nolano, come si sa, si è infatti sviluppato un “mito”, di coloritura laica, che ne faceva lo strenuo difensore, fino all’estremo sacrificio, della libertà di pensiero e dello spirito anticlericale. Paradossalmente questo mito veniva fatto proprio, anche se con un cambiamento di segno, dall’interpretazione cattolica di un Bruno peccatore impenitente, pervicacemente ostinato nella sua eterodossia, ma incline anche alla finzione e al compromesso, pur di salvarsi dal supplizio estremo.
In entrambi i casi si tratta di forzature ideologiche. Il giudizio, oggi, deve necessariamente essere più equilibrato e fondarsi non sul mito, ma sull’umanità di Bruno. Il quale certamente non volle andare incontro volontariamente alla morte e tuttavia, nel corso del processo, tenne un atteggiamento complessivamente coerente che si può così schematizzare:
- Rifiuto sprezzante di discutere e di giustificarsi sulle questioni più minute e volgari, al limite del pettegolezzo, che riguardassero i suoi comportamenti e il suo atteggiamento.
- Atteggiamento conciliante sulle questioni di ortodossia religiosa anche con un uso sapiente della dissimulazione: sui temi religiosi di cui egli ha trattato per iscritto o a voce, il Nolano non sarà mai disposto a dar conto se non quando, e nella misura in cui, i suoi inquisitori dimostreranno di averne conoscenza.
- Strenua rivendicazione del libero uso del ragionamento filosofico per tutte le materie sulle quali non gravi uno specifico e ufficiale interdetto religioso.
Su tali basi si può comprendere l’atteggiamento tenuto da Bruno fino alla morte e si possono anche intendere quei comportamenti apparentemente contraddittori che gli sono stati imputati come debolezza o infingimento sia a Venezia, quando si trova a professare il suo pentimento e la volontà di cambiar vita, sia a Roma, nell’oscillazione, altrimenti incomprensibile, fra ammissioni di colpevolezza e orgogliosa difesa della giustezza delle sue argomentazioni.