I Gesuiti a Venezia
L'allontanamento dalla città
La crisi nei rapporti fra il Papato e Venezia, in atto sul finire del XVI e agli inizi del XVII secolo, coinvolse anche i rappresentanti degli ordini religiosi regolari, in particolare i Gesuiti.
Poiché Venezia non intendeva ottemperare alle ingiunzioni papali in materia di immunità ecclesiastica, da Roma partì un interdetto contro la città lagunare. Il Senato veneto disattese il breve pontificio e intimò agli ecclesiastici di proseguire nell’esercizio del culto divino e della cura delle anime. I Gesuiti, allora, con l’appoggio dei Cappuccini, cercarono di sollevare una rivolta popolare. Indissero una processione notturna verso le barche, per allontanarsi dalla città e ciascuno di loro portava al collo l’immagine di Cristo per mostrare al popolo che Cristo partiva con loro. Il moto tuttavia non ebbe gli effetti sperati e dal popolo venne la non benevola esclamaziane in dialetto «andè in mal’ora».
Il governo fece perquisire le sedi dei Gesuiti e fra il popolo si parlò molto del ritrovamento di crogioli, il cui uso non era chiaro, anche se padre Possevino affermava che «non erano per fondere ori né argenti, come erano calonniati, ma per governar le berette».
Non tutti gli ordini si fecero convincere dai Gesuiti ad allontanarsi da Venezia. Partirono, oltre ai Gesuiti e ai Cappuccini, anche i Teatini e i riformati di S. Francesco. Si trattò, ovviamente di un momento altamente drammatico: la partenza, in forma così spettacolare, dei regolari non poteva non avere riflessi sulla popolazione e sul governo il quale, temendo lo scoppio delle ostilità come conseguenza della clamorosa rottura, preparava le armi, assoldava truppe e risistemava le fortezze.