Napoli
La Napoli spagnola
Il trasferimento di Bruno a Napoli non gli provocò, a quel che sembra, alcun trauma affettivo. In quella che (con i suoi 200.000 abitanti) era la più popolosa città d’Europa, Giordano si troverà bene e a suo agio: il Vesuvio rappresenterà, per lui, un punto di riferimento paesaggistico che gli ricorderà l’impressione infantile e cara del monte Cicala.
In realtà il Napoletano, nel periodo che Bruno trascorse negli studi, era travagliato dai terremoti, dalla peste e da una terribile carestia di grano. La pirateria turca scendeva a predare sino al borgo di Chiaia. L’audace bandito Marco Bernardi, soprannominato Re Marcone, infestava la Calabria. Gli Ebrei sfuggiti alle persecuzioni in Spagna vi cercavano rifugio, così come i Valdesi, in fuga dal Piemonte, per trovare qui la medesima crudele repressione ed essere sovente trucidati in massa.
Dunque la Napoli della seconda metà del XVI secolo, la Napoli spagnola, costituiva una realtà complessa e, per certi aspetti, contraddittoria: priva di grandi risorse e di capacità autopropulsive, dilatatasi a dismisura, assiste al susseguirsi di impatti violenti, strappi e ricuciture del suo
tessuto urbano.
Le sue condizioni politiche e religiose risentono della dominazione spagnola e risultano ulteriormente appesantite da una sorta di rifeudalizzazione contro cui poco può l’indubbio protagonismo civile di una
struttura sociale fortemente conculcata. Anche le condizioni economiche risentono gli effetti della dominazione straniera. Nel contempo, fiorisce una vivace vita culturale contro la quale, però, agiranno con accanimento e congiuntamente la repressione politica e quella ecclesiastica.
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