La nobiltà
Molte richezze e poco potere
L’aristocrazia nel regno di Napoli aveva accumulato grandi ricchezze, servendosi di ogni mezzo: corruzione verso i pubblici uffici, devozione e servilismo verso la corte e il governo, gare di lusso e di grandezza.
Gli Spagnoli, con la loro politica, avevano inferto un grave colpo all’antico baronaggio, impedendogli di coalizzarsi e di congiurare. Alla crisi di rappresentatività politica, però, i nobili ovviavano con l’accumulo di grandi ricchezze ottenute attraverso lo sfruttamento dei ceti più miserabili. Le ribellioni dei baroni si smorzarono di fronte alla forza dello stato autoritario e costante fu la tendenza del re di Spagna a stroncarne la potenza politica, a volte con metodi inesorabili: fu il viceré di
Carlo V, Pedro di Toledo a inaugurare in modo assai duro la nuova politica di Stato. Col tempo la nobiltà napoletana, ormai allineata, si strinse intorno al sovrano.
Il potere del viceré, apparentemente illimitato, subiva in realtà delle restrizioni attraverso istruzioni segrete e, a volte, delle leggi. Ad assistere i viceré era chiamato un Consiglio composto dai membri delle più alte magistrature. Il regno, d’altro canto, era sorretto da una solida struttura amministrativa.
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