De umbris idearum
Una visione “ambigua” del reale
Il
De umbris idearum, pubblicato nel 1582, è dedicato al re di Francia
Enrico III, che, racconta lo stesso Bruno, lo fece chiamare a corte per indurlo a rivelargli se quell’
arte della memoria che egli professava fosse di origine naturale oppure magica, e convincerlo dunque a trasmettergli tale tecnica stupefacente (occasione, questa, con la quale il Bruno ottenne il titolo di «
lettore straordinario e provisionato»). Composto da due sezioni, una di ordine teorico (divisa a sua volta in due parti: nella prima, intitolata
Triginta intentiones idearum, si analizzano i modi secondo cui l’intelletto e le altre facoltà cognitive umane percepiscono le ombre; la seconda, intitolata
Triginta conceptus umbrarum, è pregna di grandi temi neoplatonici, a partire dai richiami alle
Enneadi di Plotino) e una di carattere “pratico” (la mnemotecnica in senso stretto), il testo intreccia sia temi platonici, sia immagini tratte dalle Sacre Scritture e, in modo particolare, dal
Cantico dei Cantici, rivelando le due opposte e fondamentali modalità secondo cui si produce l’esperienza dell’ombra. Essa, infatti, per Bruno, è al tempo stesso un fluire perenne di forme e di composti, assolutamente labile e cangiante, in continuo divenire e soggetto alla vicissitudine eterna delle cose, ma anche una realtà stabile, determinata, che solo l’intelletto, mediante un
appulsus che lo fa concentrare nel suo intimo, può scorgere.
L’ “ombra”, insomma, è la metafora con cui Bruno esprime la sua visione ontologicamente doppia, “ambigua” del reale: essa si dà e si toglie, senza compiersi mai, senza farsi mai tutta luce o tutta tenebra; e come la “materia” bruniana, persiste al di sotto delle sue modificazioni, cioè è cambiamento e fondamento al tempo stesso; produce in sé le forme, le differenze, pur persistendo unica e indifferente. Dandosi come presenza e come assenza ad un sol tempo, insomma, l’ombra è l’immagine che più di ogni altra esprime il tentativo bruniano di tenere insieme i fili opposti dell’identità e della differenza, della sostanza e dell’apparenza, della linearità e della circolarità.
L’arte della memoria diventa poi molto più che un semplice strumento “pratico”: essa è il mezzo che permette di comprendere il complesso dinamismo che si esplica nell’universo e che nasconde in sé il senso di tutte le cose. Attraverso un alfabeto di immagini, che esprimono in forme concrete ogni parola del linguaggio comune, Bruno si propone di creare uno straordinario strumento di conoscenza della realtà, in cui immagini e concetti, in strettissima simbiosi, contengano in sé simbolicamente tutto il reale.
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