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Elisabetta I
Elisabetta I

Nicolò Copernico
Copernico


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Situazione religiosa

Da riforma politica a riforma dottrinale

Con il ritorno degli esuli mariani (coloro che avevano lasciato l’isola sotto il regno della cattolica Maria Tudor) ha inizio il calvinismo inglese vero e proprio, che si afferma circa venti anni prima con l’Atto di supremazia, votato dal Parlamento nel 1534, sotto il regno di Enrico VIII: per la costituzione della Chiesa anglicana fu però determinante l’esperienza diretta che fecero del sistema ginevrino i profughi inglesi durante il regno di Maria Tudor. La riforma di Enrico, infatti, era di natura essenzialmente politica: sanciva la separazione dalla Chiesa di Roma e poneva la Chiesa inglese sotto l’autorità del re. Con l’Atto di supremazia la Chiesa diventa parte integrante dello stato e il diritto canonico una parte del diritto comune, ma i dogmi teologici e i sacramenti cattolici non vengono messi in discussione. La riforma tocca soprattutto i privilegi del clero e riguarda la soppressione degli ordini monastici, che rappresentano l’ordine cosmopolita dipendente da Roma, e la secolarizzazione dei loro ingenti beni. Opponendosi alla riforma di Enrico, vengono messi a morte fidati, fino allora, consiglieri del Re, il più importante dei quali è Tommaso Moro.
La Chiesa anglicana inizia a guardare in direzione delle dottrine protestanti con Edoardo VI, che negli anni a cavallo fra il 1549 e il 1552 fa approvare dottrine e liturgie che si allontanano da quelle previste dalla Chiesa romana.
Quando, sotto il regno di Elisabetta, finalmente il “problema religioso” viene dibattuto in Parlamento, gli esuli rimpatriati devono lottare per ottenere anche solo il ripristino immediato del Libro di preghiere del 1552, andando, così, contro il desiderio di Elisabetta di procedere con cautela e con piccole innovazioni graduali, in modo da non urtare la suscettibilità di coloro che ancora credevano nella presenza reale del Cristo nell’eucaristia. Le nuove norme religiose varate da Elisabetta sono contenute nelle Injunctions del 1559, suddivise in 53 articoli. Con esse, oltre a ristabilire la supremazia della Corona su tutto il terriorio nazionale, viene istituita la Court of High Commission.
Elisabetta ricopre le sedi vescovili vacanti e quelle che erano state tolte agli ultimi vescovi mariani e per formare i nuovi quadri dell’episcopato deve rivolgersi proprio agli esuli, che accettano a malincuore il sistema in cui si trovano inseriti, temendo, d’altra parte, in caso di rifiuto, di favorire un ritorno dei papisti.
Malgrado le ingiunzioni del 1559 non si giunse mai, durante il regno di Elisabetta Tudor ad un’uniformità religiosa, nonostante la destituzione degli ecclesiastici più ostinati. Con il passare del tempo anche i vescovi più sinceramente calvinisti, irritati dalle resistenze frapposte alla loro autorità, presero un atteggiamento sempre più ostile al puritanesimo. Incessanti sforzi vengono compiuti per riformare la liturgia e le istituzioni ecclesiastiche attraverso il parlamento, anche se la regina non dimentica di esser stata costretta ad accettare, nel 1559, un ordinamento liturgico più protestante di quanto essa avrebbe desiderato: solo sulla persecuzione dei cattolici puritani e corona erano d’accordo, poiché Elisabetta temeva cospirazioni cattoliche ispirate dalla Spagna.





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