la vita di giordano bruno
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Elisabetta I
Elisabetta I

Nicolò Copernico
Copernico


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Londra
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La cultura della corte

Aperta a nuove prospettive

La corte elisabettiana rappresenta il referente politico ed economico della nuova cultura londinese, distinta e avversa alla cultura accademica. La corrente puritana riformista, in particolare, mostra un atteggiamento di sostanziale apertura a nuove prospettive di ricerca e spiccati interessi scientifici e tecnologici, oltre che una certa apertura verso la dottrina copernicana, anche perché il calvinismo moderato dei suoi esponenti di spicco, e di Robert Dudley in primo luogo, la orienta verso una intepretazione delle Scritture che non si irrigidisce sul tema della incompatibilità tra verità teologica e scoperta scientifica.
Direttamente legato alla politica di Elisabetta è il nuovo impulso e la fortuna di alcune discipline, ad esempio la cartografia, che si sviluppa attraverso un rapporto di collaborazione e committenza tra intellettuali e corte. Uno scienziato come Thomas Hariot, studioso di algebra e astronomia, ad esempio, accompagna nel 1585 Frances Drake, per occuparsi dei rilievi cartografici della costa americana e Dee viene consultato come esperto di navigazione, ma anche come intellettuale in grado di costruire e cementare il consenso popolare attorno alle politiche espansionistiche della Corona.
Ancora Thomas Hariot fa parte, assieme a Marlowe, del gruppo di scienziati e di artisti sospetti di ateismo, che si riunisce a casa di sir Raleigh. Elisabetta stessa consulta come medico il mago John Dee, lo riceve a corte e ne legge i libri.
Nei vari campi della cultura e dell'arte, la corte manifesta dunque una certa tolleranza sia per forme d'arte e di costume che contrastano con l'austerità calvinista - è ad esempio la politica culturale della corte elisabettiana a difendere il teatro dagli attacchi dei Puritani -, sia per intellettuali dalle opinioni eventualmente non conformi a quelle ufficialmente professate alla corte medesima.
Tornato a Londra nell'estate dell'’83, reduce dalle dispute con i «pecoroni» di Oxford e dall'accusa di plagio, Bruno si rivolge, con i Dialoghi italiani, a questa aristocrazia cortigiana e in questo ambiente culturale cerca nuovi interlocutori.








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