La cultura frondista e la stampa

Un settore nevralgico

La cultura frondista si sviluppa attorno ad alcuni stampatori indipendenti, fra cui John Wolfe, stampatore di opere di Machiavelli, John Charlewood, l’editore dei dialoghi italiani di Giordano Bruno, Roger Ward. Essi, per motivazioni di ordine strettamente economico, iniziano a stampare testi italiani e altri testi protetti da privilegio per venderli nei mercati fuori Londra.
Nella seconda metà del Cinquecento quello della stampa diventa un settore nevralgico: non a caso, infatti, dagli anni di Edoardo VI e Maria Tudor si susseguono molti provvedimenti che cercano di regolare la produzione e il mercato dei libri. Già nel 1529 Enrico VIII aveva emesso un provvedimento per arginare l’offensiva dell’eresia luterana, nel 1530 vengono proibite le traduzioni della Bibbia. In questi anni, però, non viene regolamentata l’attività tipografica nel suo complesso: bisogna aspettare il 1557 con la carta di incorporazione degli stampatori per vedere strutturati e definiti i rapporti fra stampatori e potere politico-religioso. La corporazione ha il privilegio e la licenza per la stampa dei libri e l’attività può essere esercitata solo a Londra e solo dai membri della compagnia.
Contro il sistema dei privilegi a metà degli anni ’70 prende avvio una violenta disputa, condotta da Wolfe, uomo intraprendente e non poco bizzarro. Il suo programma è quello di riformare tutto il sistema produttivo librario, allo stesso modo in cui, da solo, Lutero è riuscito a riformare il mondo religioso. Contro di lui vengono istituiti numerosi processi e finisce pure in gattabuia. Wolfe è il primo stampatore inglese che usa false sigle editoriali per libri non scritti in vernacolo, con l’obiettivo di raggiungere i bibliofili che disdegnano le cattive edizioni inglesi e gli amanti di tutti quei libri che è difficile importare dal continente per gli effetti della censura.

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Torchio