Spaccio de la bestia trionfante
La polemica antiriformata
Pubblicato a Londra da John Charlewood nel 1584 e dedicato a sir
Philip Sidney, uno dei principali esponenti della corte elisabettiana, lo
Spaccio si articola in tre dialoghi, nel corso dei quali tre interlocutori - Sofia, Mercurio e Saulino - discorrono della riforma voluta da Giove per mettere fine alla decadenza che ormai da tempo attanaglia il mondo celeste. Tutta incentrata sui temi della vecchiaia, della deformità e della decadenza, la descrizione del concilio indetto dal re dell’Olimpo si traduce ben presto nell’analisi delle radici da cui ha origine la crisi che, a giudizio di Bruno, minaccia di dissolvere completamente il consorzio umano.
Tra i numerosissimi temi che Bruno modula in quest’opera, il motivo del nesso organico che stringe insieme verità e legge spicca per la straordinaria forza teorica con cui è formulato. Fin dal primo dialogo dello
Spaccio il Nolano individua nell’intrecciarsi di verità e legge il nodo della comunicazione tra il principio divino e il mondo umano: in una prospettiva simile, la coincidenza tra legge e verità viene presentata come un tratto costitutivo di tutte le grandi civiltà. Rompere questo vincolo significa recidere le radici stesse della vita associata.
Scaturisce da queste considerazioni la fortissima polemica antiriformata che percorre tutta l’opera: Bruno individua infatti in
Lutero l’archetipo degli
angeli nocentes che, introducendo una frattura insanabile tra giustizia divina e giustizia umana, si fanno artefici della decadenza che investe il “secolo infelice”. È una polemica che finisce per coinvolgere anche le radici ebraiche e cristiane della riforma: l’analisi di Bruno tende infatti a sottolineare come la predicazione di Lutero non sia un fatto casuale, ma sia conseguenza inevitabile della scissione tra divino e umano operata dal cristianesimo. In una prospettiva simile, le forze che hanno condotto alla decadenza attuale sono già racchiuse nella predicazione di Paolo, che, negando il valore delle opere e privilegiando una fede tutta ripiegata nell’interiorità, ha reso impossibile la comunicazione tra uomini e dei.
Sono temi che culminano nella straordinaria riscrittura del
Lamento ermetico, in cui Bruno recupera temi apocalittici, ponendo però in primo piano il concetto del rovesciamento per cui la somma ingiustizia viene spacciata per giustizia e pietà. Ma l’analisi delle forme in cui si esplica la decadenza si intreccia continuamente alla messa a fuoco dei modi in cui è possibile sottrarsi al declino e riportare la società umana alla giovinezza: in questo senso, Bruno individua nel recupero della religione magica degli Egizi e della religione civile dei Romani lo strumento privilegiato che consente di invertire il ciclo della decadenza.
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